Vestigia 3 (1):173-177 (
2022)
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Abstract
Le parole hanno una presa sul corpo; è una realtà nota da sempre. Le parole feriscono, le parole curano, le parole uccidono, come mostra magistralmente Claude Lévi-Strauss in Antropologia strutturale. Il sintomo, corporeo e/o mentale, ne è una testimonianza. Già Ferdinand de Saussure aveva dimostrato nella parola la scissione tra significante e significato; e inoltre la distanza tra la cosa e il suo nome. Non c’è un significato granitico delle parole soggette all’inevitabile metamorfosi che abita la vita. Ci sono le omofonie. Tutto questo anima l’equivoco, lo scambio, la confusione. Si fraintende, si sovrainterpreta. Non solo, Lacan aggiunge a De Saussure che la lingua, non è un oggetto neutro, ma è abitata dal godimento, dalla pulsione e per questo Lacan usa il neologismo lalingua. Ora, la pulsione è pulsione di morte. Anna Karenina porta fino alle estreme conseguenze gli scambi della lingua; interpreta le parole dell’amato e ne legge il segno della mancanza del suo amore. Di fronte all’impossibilità di fare uno con l’uomo amato scambia la vita con la morte.