Abstract
Questo articolo offre una difesa dell'approccio procedurale alla giustizia rispetto alle critiche che ne evidenziano l'indeterminatezza normativa. A questo fine, l'articolo inizia con la presentazione di un modello di proceduralismo capace di rivelare la specificità di questo
approccio alla giustizia rispetto alle alternative orientate agli esiti. La difesa di questo modello di proceduralismo si avvale di due strumenti che, all’interno del pensiero democratico
liberale, sono stati invocati spesso quali canali di contestazione degli esiti politici e legali: la disobbedienza civile e l’obiezione di coscienza. Per i proceduralisti, la prima può essere indirizzata verso gli esiti di procedure ingiuste, mentre la seconda ha a che fare con l’incongruenza tra le proprietà di un qualche esito e gli impegni morali personali (non pubblici) altrimenti perseguiti dalle parti interessate. In questo modo, l’analisi dell’obiezione di coscienza sembra essere capace di rivelare le basi sulle quali esiti proceduralmente giusti possono essere contestati ed esenzioni da essi richieste. Questa conclusione mira a chiarire in quale senso sia possibile ricomporre i conflitti tra le richieste della giustizia (procedurale) e quelle derivate dalle
lealtà morali personali delle parti interessate, mostrando in questo modo l’appeal di un
approccio procedurale alla giustizia in condizioni di disaccordo morale.