Abstract
La memoria dell’essere umano è memoria della cura, memoria di quanto di positivo e di negativo, nel tempo della cura, si è quotidianamente e straordinariamente esperito e vissuto. Il pensare, l’agire e il produrre della cura appaiono, infatti, anche come memoria di una vita abitata e condizionata, essenzialmente e indissolubilmente, dai modi dell’aver cura. Ricordare ciò che la cura è stata per noi è ciò che ci spinge verso ogni concreto aver cura; ma, tuttavia, anche quando la cura non è venuta a manifestarsi adeguatamente nella vita, quale dimensione profondamente ontologica, esistenziale e trascendente di bene, personale e comunitaria, è possibile custodire ancora ed effettivamente tale slancio curante verso l’altro. La coscienza della cura richiama, infatti, l’essere umano ad un con-essere avente cura nella complessità di un’esistenza e di una realtà effettiva di cura, nella quale il ricordo personale può anche svanire, così come la memoria stessa della cura che si è ricevuta o che si è donata all’altro nel tempo. Ciò che vale è, allora, la presenzialità e testimonianza curante, essere ancora con l’altro ed esserlo quando il ricordo della cura che è stata svanisce nelle pieghe dell’esistenza e della vita, o ancora a causa dell’avanzare dell’età o della malattia. Nell’incontro curante rinnovato con e per l’altro, oltre la possibilità del ricordo e del ricordare, è nascosto, infatti, l’orizzonte comprensivo ed esperienziale di un senso profondamente gratuito dell’aver cura, di un aver cura dell’altro orientato dall’amore e la cui memoria è manifestazione della verità essenzialmente comunionale della cura.