Tópicos 46:e0081 (
2024)
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Abstract
In questo saggio vorrei mostrare che Platone scrisse il Sofista per tematizzare una questione cruciale, che in tale dialogo è problematizzata per la prima volta: l’essere, la realtà delle cose, non si presenta a noi direttamente e chiaramente. Per comprendere la realtà delle cose, che sembra evidente e invece è sfuggente, è necessario inseguirla come una preda che si nasconde. Se è necessario cercare l’essere per catturarlo è perché spesso quel che cogliamo non è l’essere ma l’apparire. Il cuore del dialogo – la sezione sull’immagine – è la definizione dello statuto dell’apparenza. Il mio punto è che non è possibile spiegare la natura del non essere senza legare il discorso sul non essere al discorso sull’immagine. Nella sezione sull’immagine è presentata la natura contraddittoria dell’eidolon. Lo Straniero, che in questa sezione è il portavoce del sofista, gioca il ruolo dell’interrogante e conduce Teeteto ad ammettere che l’immagine non soltanto non è un ente, ma è il contrario dell’ente (Sph. 240b5-6). Quando, in Sph. 257b3-4, lo Straniero dice che “quando diciamo ‘non essere’ non diciamo qualcosa di contrario all’essere, ma soltanto di diverso da esso”, egli si riferisce – correggendolo – a ciò che il sofista ha detto nella sezione sull’immagine. Io credo che “ciò che è diverso dall’essere” sia precisamente l’apparire, il cui statuto aporetico è stato sottolineato nella sezione sull’immagine. La mia tesi è che il non essere è il phantasma, il darsi dell’essere alla percezione degli umani non direttamente, non chiaramente, non veramente, ma sotto una falsa sembianza.