Tropos:127-144 (
2008)
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Abstract
Gianni Vattimo ha elaborato l’estetica e la teoria dell’arte del «pensiero debole» soprattutto in alcuni articoli pubblicati nella «Rivista di Estetica» (della quale è stato direttore). Parte di questi saggi è stata poi raccolta nella seconda sezione di una delle sue opere centrali, La fine della modernità, sezione intitolata, significativamente, La verità dell’arte. Le diverse questioni discusse da Vattimo sono infatti attraversate dal filo conduttore del problema della verità dell’arte, nell’epoca del nichilismo, della fine della storia e del mondo estetizzato dei mass media. Attraverso una lettura teoreticamente produttiva di M. Heidegger e F. Nietzsche, ma anche – come si vedrà – di certe pagine kantiane, e al contempo “indebolendo” l’ermeneutica di H.-G. Gadamer (ma anche quella di L. Pareyson),Vattimo affronta la questione dell’arte, della sua verità, del suo significato, del suo statuto ontologico, mettendo anzitutto in questione la domanda “che cos’è l’arte?” che molti studiosi, sia in ambito “analitico”, sia in ambito “continentale”, pongono al centro della riflessione estetica. Ha infatti senso, oggi, chiedersi «che cos’è l’arte?», cercando di fornire una definizione che restituisca l’ontos on, l’essenza dell’arte? O è proprio il fatto di presumere la possibilità di offrire una definizione a costituire il vero problema, in quanto tale assunzione presuppone già un determinato modo di pensare il mondo, modo di pensare che, storicamente, si è costituito come la metafisica occidentale? E se nel post-moderno la metafisica occidentale viene decostruita da un pensiero e da prassi vitali che ne mettono in crisi le griglie concettuali, ne sovvertono gli ordini e le tassonomie, esibendone così l’infondatezza, com’è possibile definire, pensare e praticare l’arte e l’estetica, che sono categorie impiantate solidamente nelle strutture della metafisica?